(o
Pier delle Vigne). Uomo politico, epistolografo e poeta italiano.
Secondo la tradizione, fu studente presso le scuole retoriche e di diritto a
Capua e a Bologna. Tra il 1220 ed il 1225, entrò a servizio di Federico
II: come
notarius, poi come giudice della
magna curia, poi come
logoteta di Sicilia e protonotario del Regno. In quanto diretto consigliere
dell'imperatore, svolse diverse missioni diplomatiche a Roma e in Inghilterra.
Nel 1249 cadde in disgrazia, coinvolto in una congiura mirante all'assassinio di
Federico. Fu arrestato a Cremona con l'accusa di lesa maestà; accecato ed
esposto alla violenza della folla, fu in seguito trasferito a Pisa. Una
tradizione ben attestata vuole che non sia morto in seguito alle torture subite,
ma suicida. Tra i cronisti dell'epoca che sostennero la sua estraneità
alle accuse, ricordiamo Salimbene da Parma cui si allineò anche Dante,
che esaltò la figura di
P. nel canto dei suicidi (
Inferno,
XIII), credendo alla sua innocenza. Per quanto riguarda l'attività
letteraria, l'opera di maggior rilievo è l'
Epistolario, in lingua
latina, inerente all'
ars dictandi medioevale: in essa ci sono conservate
la dottrina del giurista, l'impegno del politico e la capacità letteraria
dell'"abbreviatore" in grado di amalgamare lo stile curiale e notarile con la
tecnica espressiva dei Francesi, l'ascendenza ovidiana e perfino i preziosismi
della didascalica araba, che era ben nota alla corte di Federico. La sua
attività di poeta in volgare fu più rara e occasionale, ma
impostata secondo le regole della scuola siciliana: un sonetto inviato a Jacopo
da Lentini, due canzoni di argomento amoroso e una terza, di particolare valore,
legata al genere del
planctus e dedicata alla morte della donna amata
(Capua, Caserta 1190 circa - Pisa 1249).